Di Enrico Bimbi
Per lungo tempo quelle vecchie viti a piede franco sconosciute, scoperte nella tenuta, oggi a conduzione biologica, della Pietro Beconcini Agricola a San Miniato in provincia di Pisa, sono state contrassegnate con la lettera X.
Le piante altro non erano che Tempranillo, la più famosa e diffusa varietà spagnola. Per scoprirlo ce n’è voluto di tempo e per certificarle ancora di più. Bisogna considerare che come è insolito trovare in casa iberica il nostro Sangiovese (vitigno maggiormente diffuso in Italia), è altrettanto raro trovare il più diffuso vitigno spagnolo, il Tempranillo, in Italia. Anzi, fino a quindici anni fa il vitigno Tempranillo Nero non era addirittura presente nell’elenco delle varietà che si potevano coltivare in Italia in quanto considerato assente nella nostra nazione. Tutto cambia con il decreto 2754 del giugno 2009 che iscrive il vitigno spagnolo all’albo della Toscana. Il merito è dell’istanza, poi accolta, di Leonardo Beconcini, titolare con la moglie Eva della Pietro Beconcini Agricola di San Miniato, che ha dimostrato che nella sua tenuta il Tempranillo era presente da tanto tempo, forse secoli. La storia della scoperta è davvero curiosa: “Quando sono subentrato nella conduzione dell’azienda a mio padre Pietro negli anni novanta –racconta Leonardo Beconcini- ho fatto un censimento delle piante vitate per razionalizzare le varietà, alla ricerca di quelle più performanti a livello qualitativo, per estendere la superfice di impianti con la selezione massale di quei cloni che meglio si erano adattati al terroir. In questa operazione trovo la presenza di vecchie viti a piede franco pre-fillossera, dallo straordinario equilibrio spontaneo, che non erano riconducibili alle varietà autoctone conosciute. Solo accurate analisi genetiche hanno poi certificato che quelle piante sconosciute che avevo contrassegnato con la lettera X altro non erano che il più famoso vitigno della Spagna.”
Ma come è arrivato il Tempranillo in queste terre? L’ipotesi più accreditata è quella che sia stata opera di un pellegrino spagnolo. Bisogna considerare che San Miniato è attraversata da un ramo della via Francigena, che collegava Santiago de Compostela con Roma e nel Medioevo era molta battuta da pellegrini iberici che affrontavano il lungo viaggio di culto portandosi dietro le prime necessità, compreso i semi di vite, allora considerati merce di scambio. Quindi può essere che un viaggiante si sia fermato in queste terre dando vita alla coltivazione o semplicemente che abbia venduto i suoi semi ad un contadino locale che li ha messi a frutto. Fatto sta che il Tempranillo, grazie al fatto di essere seminato e non impiantato, alla conseguente selezione naturale e alla profondità radicale avvenuta nel tempo, ha trovato un eccellente adattamento entrando in simbiosi con il terreno e il clima. Leonardo Beconcini che già aveva dimostrato il suo valore di vignaiolo con il Sangiovese (il “Reciso” è stato il vino pioniere della qualità ed è tutt’oggi un caposaldo della viticultura sanminiatese) si trova ad affrontare la nuova sfida: dare massima espressione e valorizzazione al quel gioiello genetico in suo possesso. Il primo vino che esce dalla Beconcini con il vitigno di origine iberica è Vigna alle Nicchie.
Per realizzarlo Leonardo ha messo in campo tutto il suo estro, la sua passione, la sua voglia di ricerca, sperimentazione, la voglia di fare un vino veramente unico. Qui vengono utilizzate solo le uve delle viti centenarie pre-fillossera. Qualcuno l’ha chiamato impropriamente l’Amarone di San Miniato per il fatto che le uve subiscano un parziale appassimento (4 settimane con una resa del 70%) prima di essere ammostate e avviate alla vinificazione in cemento con lieviti indigeni e alla macerazione sulle vinacce per 6 settimane. La maturazione avviene in piccole botti di rovere per 2 anni e si affina altri 24 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Un vino bomba, con tannini setosi che impressiona per potenza, finezza, gamma aromatica, equilibrio, lunghezza. Un vino da grande invecchiamento che inevitabilmente (dato l’appassimento) ha un alcol importante, sopra i 15 gradi, ma non scopre grazie al ricco supporto delle altre componenti. È il classico bicchiere da meditazione, magari con un quadretto di cioccolato fondente, ma se si vuole accompagnare al cibo, la cacciagione in dolce e forte è la sua apoteosi.
Grazie alla citata selezione massale (da 3 ettari vitati si arriverà a 12) anche il Tempranillo viene esteso e da queste nuove uve nasce Ixe.
Il nome deriva dalla espressione dialettale della lettera X che aveva contrassegnato le viti fino al riconoscimento. Noi toscani ci mangiamo la “c” e il “re” dei verbi all’infinito ma allunghiamo le parole che finiscono per consonante. Si va al “barre”, si prende il “tramme” e la X la pronunciamo “Ixe”. Il nuovo vino incontra subito il favore della clientela grazie alla godibilità di beva e la versatilità di abbinamento. Già il colore invoglia con un rosso vitale profondo e brillante dai riflessi violacei e blu. Il naso è invaso da profumi freschi di frutta rossa e nera con percezioni floreali ed accenni minerali, al palato esprime la morbidezza tipica del Tempranillo, con sostegno di una bella spalla acida che ne snellisce la trama e facilita la pulizia del cavo orale.
Il terzo e ultimo vino creato con il Tempranillo dalla Pietro Beconcini è il Fresco di Nero.
Si beve freddo (circa 12°), visivamente è un rosè dal sapore fresco e leggero ma di fatto è un rosso perché macera sulle bucce per tre giorni a bassa temperatura per poi maturare in cemento per 4 mesi sui lieviti. Com’è possibile? Semplice perché Leonardo, dimostrando anche in questo caso la sua genialità, raccoglie le uve quando è non sono ancora mature, in genere nella terza settimana di agosto, con tannini poco presenti e con gli antociani non ancora in grado di conferire colore intenso. A differenza della vinificazione in rosato, dove i polifenoli servono a ben poco perché le bucce sono tolte velocemente, in questo caso si ha il vantaggio di un vino arricchito da una maggiore estrazione delle bucce che lo fa essere anche più longevo. Abbassando ancora un po’ la temperatura di servizio risulta ideale per essere servito come aperitivo. Grazie alla spiccata acidità risulta ottimo partner di crudità sia di terra, sia di mare e accompagna alla grande salumi e formaggi di media stagionatura, ma il suo impiego territoriale più importante è sicuramente quello con i piatti al tartufo che spesso hanno una base poco strutturata e non richiedono l’unione con vini rossi di corpo. San Miniato, importante terra del prezioso fungo ipogeo, ha ormai un altro gioiello da esibire con orgoglio: il vitigno Tempranillo.
Enrico Bimbi